La cenetta “intima” tra moglie e marito è finita proprio male; quando sono rientrati hanno scoperto che i loro tre figli avevano litigato, tanto da avere uno un occhio pesto, l’altro graffi in faccia e l’ultimo un livido su una gamba, che fanno ora?
Premesso che se chiedessero a uno di quei tre discoletti di dare il suo midollo spinale per salvare la vita di suo fratello, lo farebbe subito e che, se anche gli dicessero che con questo suo gesto mette a rischio la sua vita, immediatamente sarebbe pronto alla donazione, mi sia consentito dire che i litigi tra fratelli sono del tutto normali (come lo sono tra coniugi); rimane il problema della distinzione tra discussioni (seppur animate) e violenza, perché è quest’ultima (non le normali baruffe) che noi abbiamo, da sempre, scelto di bandire dalla nostra casa, di contrastare nella società e nel mondo intero.
Sì, ma… un castigo ci vuole…?
Forse. Certamente sarebbe un comportamento pedagogicamente controproducente buttarli giù dal letto minacciando punizioni a tempo indeterminato per tutti e tre, interrogandoli con stile inquisitorio per conoscere di chi è stato o chi ha cominciato per primo; è meglio comunicare loro che “si prende atto di quanto è successo” e si rimanda ogni decisione al giorno dopo; augurando comunque loro (singolarmente come ogni sera) la buona notte “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
E il giorno dopo?
Il giorno dopo la necessità di uscire per andare, chi al lavoro, chi a scuola, lascia tutto sospeso: i genitori delusi e incerti; i ragazzi chissà… può darsi ancora arrabbiati, magari offesi, forse mortificati o pentiti… chissà?
Sì, ok, la mattina alla sette non si può certo parlare con calma, ma arriverà il redde rationem o lasciamo perdere tutto?
Col passare delle ore i genitori e i figli ritrovano la calma necessaria, i primi perché parlando tra di loro o con amici della cosa, vedono il tutto meno grave; i secondi perché, in fondo in fondo, vogliono un bene tremendo ai fratelli e li hanno già perdonati. La sera, dunque…
Al momento giusto, come insegna la pedagogia positiva…
È doveroso per i genitori esprimere quello che hanno provato e che provano: È stato molto triste – possono dire – constatare che ieri sera avete dimenticato il “no” deciso e consapevole di tutta la nostra famiglia ai comportanti aggressivi e che avete messo a repentaglio la sicurezza di ognuno di voi e dei vostri fratelli….
Il messaggio è dunque di alto quando riguarda le scelte etiche; ma anche pratico, quando parla dei pericoli…
Proprio per sottolineare questo secondo punto (del primo ne hanno già parlato molte volte) possono continuare dicendo: La nostra inquietudine nasce anche potreste farvi male in modo serio e vorremmo farvi capire che vi amiamo tanto da non volere che questo succeda, la vostra salute e incolumità ci stanno molto a cuore….
Questo penso sia ciò che i genitori (anche se parla uno solo usa il plurale) possono dire per far sorgere qualcosa di positivo senza lasciarsi fuorviare dai sentimenti che provano, siano essi rabbia o pietà o amore eccessivo.
Così si comincia a parlare e qualcosa vien fuori…
Così si comincia a parlare sinceramente e con chiarezza (una reazione, immediata e irruente invece avrebbe causato bugie e risposte dure). E ipotizziamo quel che è venuto fuori:
– i figli hanno esposto tre versioni dei fatti e tutti hanno detto parte della verità;
– se ne ricava che i due piccoli stavano litigando (ecco l’occhio pesto e i graffi) quando è intervenuto il maggiore per separarli prendendosi un calcio nelle gambe;
– i piccoli correttamente affermano che lui non c’entrava per niente e che voleva solo dividerli;
– tutti e tre si impegnano per il futuro a comportamenti corretti.
Nessuna punizione?
Le punizioni se le sono autoproposte: quando il minore ha scelto la sua: due mesi senza tivù, gli altri gli hanno fatto capire che era troppo severo con se stesso e tutto si è concluso con un abbraccio tra i tre.
Forse, quella della sera prima, non è stata una serata così disastrosa?
Sembrava e invece hanno imparato tutti qualcosa.