Verso l’autonomia: una strada da percorrere con i nostri figli (a)

 

Prima di iniziare sicuramente bisogna rispondere a una domanda: che cosa fa il pedagogista?

   Brevissimamente: il pedagogista studia l’educazione per prospettare, ai genitori e agli educatori, comportamenti coerenti volti a istaurare rapporti educativi positivi e corretti.

 

Sempre stando negli argomenti preliminari, ma assai importanti: qual è lo scopo dell’educazione?

Diciamo subito che a me come padre non interessa tanto crescere un figlio che diventi un uomo capace o competente, un uomo socializzato o ricco, un uomo integrale o integrato o che dir si voglia. Mi impegno per fare di mio figlio un uomo libero, capace di prendere le sue decisioni e di assumersene le relative responsabilità. Quindi lo scopo dell’educazione è l’autonomia e per arrivare a questo obiettivo la prima cosa da affermare è proprio che l’educando non è autonomo, dunque sotto il profilo pedagogico padre e figlio non sono su un piano di parità. E allora cominciamo a toglierci l’idea che bambino e genitore siano uguali, siamo amiconi che fanno le stesse cose e che hanno bisogno delle stesse cose.

 

Un rapporto asimmetrico…

Certamente, il rapporto educativo, non è paritario. Infatti padre e figlio sono diversi per età, ruolo, esperienza, attività e reciproci legami. L’adulto ha il compito di crescere il bambino il quale ha bisogno di essere educato e alla nascita è talmente dipendente dal genitore che senza aiuto morirebbe. Ogni tentativo di negare questa disparità ha prodotto e produce danni.

 

Ed è possibile compiere un percorso di maturazione in 18 anni?

Partiamo da una situazione nella quale il neonato ha un’autonomia pari a zero e una dipendenza pari a cento; per giungere a 18 anni, ma oggi anche molto più in là, a un giovane che possiede i precedenti dati esattamente ribaltati, cioè 100 di autodeterminazione e 0 di dipendenza. In questa ipotetica curva dell’autonomia a mio parere il 50% potrebbe collocarsi intorno ai 12/13 anni.

 

Andiamo dunque verso la maturità?

Maturità innanzitutto dei figli i quali, dovrebbero superare la “fase del posso”, durante la quale dipendono dagli adulti, per raggiungere una consapevolezza che consenta di presentare e discutere in famiglia ipotesi comportamentali, che saranno più o meno condivise e alle quali ognuno darà in suo apporto in un dialogo costruttivo. Ma anche maturità di papà e mamma come coppia genitoriale che gradualmente supereranno la “fase del devi” e comprenderanno che il figlio ha diritto di prendere le sue decisioni, di vagliare i pro e i contro, di accettare il margine di rischio che è insito in ogni azione. Il che non vuol dire che ha diritto di commettere i suoi sbagli, ma di scegliere, accettando che ogni decisione umana possa anche non sortire l’effetto desiderato.

 

Ci sono comportamenti negativi che frenano o danneggino questo percorso di maturazione?

Gli atteggiamenti negativi sono facili da elencare e non posso certo citarli tutti. Ci sono genitori irrimediabilmente convinti che devono sostituirsi ai figli in tutto; altri che non li lasciano uscire da casa se non accompagnati; altri ancora che a ogni azione intrapresa dal piccolo, intervengono bloccandola per evitare guai. Ci sono genitori che dopo aver deciso di dare la paghetta al figlio e di lasciargliela gestire come crede, urlano perché l’ha sprecata nell’acquisto di cose inutili. Ci sono poi mamme che fremono fino a tarda ora di notte per attendere il ritorno del figlio che non hanno abituato fin da piccolo a rispondere alle due semplici domande: Dove vai e a che ora torni? I migliori papà sono impegnati a “non fargli mancare niente”, ogni buona mamma dice: Vorrei dargli tutto ciò che io non ho avuto alla sua età. Sono i genitori, in questi casi, a non essere autonomi dai figli e formeranno figli eternamente dipendenti.

 

Come ci aiuta la pedagogia preventiva positiva nell’educazione dei figli? 

La pedagogia positiva ci aiuta a indirizzarli al bene, avendo la convinzione che possono farcela. Tendiamo alla autentica loro libertà. In fase di crescita, essere libero vuol dire avere davanti a te una guida esperta che ti indica la strada, che ti pone anche dei paletti; ma, la guida sa, che il suo scopo non è quello di ben fissare i paletti, ma di rimuoverli, arrivando gradualmente a non averne bisogno, ed è felice quando può abbatterne uno, perché veramente si sforza di lasciare tutti di spazi di intraprendenza che riesce a scorgere. Tutto questo fino a quando il guidato è in grado di guidarsi e di guidare.

 

Essere positivi e possibilisti…

Nessuno può negare che se le cose vanno bene siamo spinti a fare e a fare meglio; se invece, vanno male tendiamo nella migliore delle ipotesi a non fare. Tutto questo, detto secondo i canoni delle regolarità della psicologia, ci suggerisce che il successo stimola all’azione e all’azione positiva; l’insuccesso stimola quanto meno a non agire. Orientiamoli dunque, i giovani, a fare da soli e fare bene; ma anche “aiutiamoli” a fare da soli e a fare bene. Stimoliamo la loro creatività e la loro voglia di fare, favorendo percorsi positivi, ma non trascurando di mostrare limiti e pericoli.

In conclusione una considerazione per gli insegnanti: guardate i vostri alunni e vedete in loro le potenzialità, le positività, le capacità creative, l’intuito e le divergenze. Sono questi i loro talenti che non è lecito seppellire in tutta fretta raggiungendo – entro il secondo anno della scuola primaria – il risultato che tutti i prati sono verdi, il sole giallo e i camini delle case ben perpendicolari rispetto al suolo.