Soldi ai figli, quanti, come e perché

 

Tutti i genitori danno dei soldi ai figli. Lo fanno perché ne hanno bisogno, ma anche questo gesto può avere valenza educativa?

È indubbiamente necessario che i nostri bambini abbiano alcune monete in tasca, questo semplicemente perché servono e perché è solo usandole che ne imparano il valore e le regole d’uso.

Ma anche perché, quando si hanno in tasca dei soldi, si possiede qualcosa di essenziale e se questi sono davvero miei e posso spenderli come credo veramente sento di essere importante e di potere finalmente decidere su qualcosa che è mio.

Poi perché chi ha, non solo può spendere, ma pure risparmiare per un impiego futuro o prestare ai fratelli, agli amici; magari correndo il rischio che quanto dato non venga restituito, ma anche questo è vita e tirocinio all’uso del danaro.

Perché, infine, per il genitore sapere che il figlio ha qualcosa è fonte di tranquillità. Se ha bisogno può telefonare, comprarsi un panino o prendere l’autobus, ecc.

 

Con quali modalità dare quanto occorre?

Certamente è da evitare l’atteggiamento del padre-padrone che cerca di sganciare il meno possibile. In tal modo, infatti, si tengono i figli in sudditanza e si costringono ad inventare strategie sempre più sofisticate per scucire qualcosa al “vecchio”. I nostri ragazzi sono molto intelligenti e “scuciranno” al padre, alla mamma, al nonno ed allo zio; finendo così per avere più disponibilità di quel che serva e soprattutto una disponibilità non soggetta a controllo.

Occorre anche evitare di non dare con la scusa che in qualsiasi necessità ci sono io che non gli faccio mancare nulla. In questo modo il figlio non imparerà mai il valore del contante.

Ma sarei prudente anche sulla scelta di compensare i lavoretti fatti in casa. Le ragioni della prudenza sono molteplici. Tra queste la prima è che si tratta sempre di un rapporto da padre-padrone, la seconda è che in questo gioco le bambine ci rimettono sempre in quanto i lavori dei maschi sono compensati, mentre quelli quotidiani delle femmine sono trascurati. In terzo luogo perché gli impegni di casa cui tutti siamo tenuti per affetto e solidarietà alla famiglia non sono oggetto di mercato. Lo stesso si può dire per i voti a scuola. Ritengo pedagogicamente poco valido legare anche i risultati scolastici al denaro, ma c’è chi la pensa diversamente. Ciò non esclude invece qualche lavoretto esterno alla famiglia i cui proventi servano di integrazione, come avviene su larga scala fuori dall’Italia.

Evitati i comportamenti negativi mi pare che una piccola quota periodica sia utile. Non tutti condividono questa posizione che non è una scelta indispensabile. I nostri figli possono imparare ad usare bene i soldi anche senza la paghetta. Io però penso che per abituare ad un saggio uso del danaro, ma anche ad un risparmio personale e motivato, sia opportuno già prima dei sette anni mettere a disposizione dei figli una cifra ricorrente. Allora non sarà difficile dire: Vuoi comprare quella cosa, costa cara, ma risparmia un poco ogni settimana e tra un mese… Certo la cadenza periodica, deve essere rigida e finita la paga si aspetta la prossima.

 

L’acquisizione del valore del danaro, del suo uso e del risparmio, quando avviene?

              Mettiamo in conto che in tutti i fatti educativi, ci vogliono tempi lunghi; il bambino è naturalmente portato a volere tutto e subito quindi, per un lungo periodo, spenderà immediatamente quanto ha in sciocchezze. Ma farà esperienza, imparerà un poco alla volta che è meglio essere più cauto.

Mettendo a disposizione una cifra periodica (dapprima settimanale, poi quindicinale, poi mensile, per abituare a progettare le spese su tempi sempre più lunghi) e cominciando molto presto, si può ipotizzare che prima della scuola media il ragazzo avrà acquisito la capacità di controllare le sue esigenze in base alle disponibilità finanziarie. Tutto ciò non è poco, essendo questa abitudine acquisita precocemente, gli consentirà di non essere un adolescente spendaccione od un giovane lavoratore che prendendo la paga la spreca tutta per sé.

L’esperienza che posso portare è quella di un ragazzo abituato fin da piccolo ad accantonare una modestissima cifra per il suo fratellino adottato in Africa. Ora lavoratore, ha spontaneamente dedicato una quota del suo stipendio da devolvere automaticamente e mensilmente dal conto corrente ad un’iniziativa di solidarietà. Non solo, in occasione di questo Natale con gli amici del bar ha comprato “tot” ettolitri di acqua per una onlus che proponeva questa iniziativa e, con la sua ragazza, ha deciso di non farsi regali per dare il corrispettivo a chi ne ha bisogno. Questo giovanotto, come tanti suoi coetanei purtroppo, non va più in chiesa.

 

Tornerà?

Certo.

 

Anche a scuola si può educare al risparmio?

Nella scuola il materiale didattico, individuale o collettivo, sia limitato al necessario ed usato con criterio; l’educazione scolastica può, infatti, fare molto nel trasmettere abitudini virtuose relative all’uso di matite, gomme, pennarelli, che due studenti su tre nel mondo fanno fatica ad avere. A tal proposito non è vietato, anzi è motivo di educazione alla solidarietà, che la classe “adotti” un’altra classe in un paese povero; ne nascerà una fitta corrispondenza, scambi di doni e tante belle amicizie a distanza.