Può capitare che nostro figlio subisca un trauma. Facciamo un esempio: ha visto un film a casa di un suo amichetto ed è rimasto impressionato a tal punto che non fa più nulla da solo perché ha paura; non dorme più da solo, non va in bagno se non è accompagnato, ecc. Che cosa fare?
In generale un evento traumatico può rilevarsi destabilizzante per qualche tempo, ma la situazione è transitoria e di solito tale da non compromettere l’equilibrio generale di un bambino. Quindi il bambino supererà la fase di paura, anche se avrà bisogno di tempo per ristabilirsi dai contraccolpi emozionali che ne conseguono. Stiamogli vicini, non rimproveriamolo per le sue paure, parliamo del “fatto” solo se lui ne parla.
Porre l’accento sull’esperienza che sta alla base delle attuali paure non è – dunque – un bene?
Non lo è, e sarebbe un atteggiamento pedagogico negativo, perché (premesso che non è detto che il motivo scatenante sia sicuramente o solo quello descritto) l’attenzione fissata su ciò che fa (o ha fatto) male non produce buoni risultati. Al contrario debbiamo distrarre e aiutare il bambino a ritornare alla normalità e, quindi, è necessario favorire tutte le occasioni in cui agisce da solo.
Ce la farà?
Ce la farà! Se va alla scuola dell’infanzia, è bene accertarsi come si comporta lì. Se a scuola, come è probabile, andasse tutto bene le preoccupazioni sarebbero molto ridimensionate.
Pertanto, un “evento” negativo per quanto importante, non è sufficiente a intaccare la vita futura di un bambino?
Pare a me che nei casi quotidiani (anche quelli gravi, come la perdita di un genitore) ciò sia vero: un bambino forma la sua personalità a partire da migliaia di esperienze che, come pietre di un muro “costruiscono” il mosaico interiore. Se ha vissuto e vive in un ambiente sano, le fondamenta saranno in grado di resistere a una scossa emozionale e se pure la scossa avrà creato delle ferite, lo stesso ambiente lo aiuterà a cicatrizzarle.
Ma nell’immediato le difficoltà ci sono, come superarle?
Certo; però, ancora ripeto che un solo fatto negativo in generale non produce effetti duraturi in una persona seppur in fase evolutiva.
Ci vogliono altre concause!
Sì! Perché sia colpito nella sua integrità e ne subisca conseguenze permanenti – a mio modo di vedere e fatte salve tutte le eccezioni – anche un bambino deve essere vulnerabile in partenza perciò l’esperienza in questione non fa altro che accentuare difficoltà già esistenti e da molto tempo.
Immaginiamo il caso, abbastanza diffuso, di un bambino che viva la mancanza del padre per separazione dei genitori?
In questa situazione siamo tentati di attribuire qualsiasi successivo disordine emotivo alla perdita subita; ma, probabilmente, non è tanto il fatto in sé che provoca il crollo della sicurezza. Ciò che può essere stato – a lungo andare – maggiormente dannoso è l’aver avuto per anni come interlocutori relazionali e affettivi privilegiati due genitori insicuri, in difficoltà, tanto da giungere alla decisione di separarsi.
Possiamo confermare, alla fine che occorre comunque un certo tempo per ristabilirsi dopo uno shock?
Mi sembra un’affermazione ovvia e già detta. Noi dobbiamo stare vicino ai nostri figli che abbiano vissuto un’esperienza traumatica, aiutandoli a distaccarsi da essa, rassicurandoli che il nostro affetto c’è, è sicuro e immutabile. Già abbiamo detto altre volte che non è necessario “impegnarsi” per essere amati dai figli: ci amano smisuratamente comunque; ma è indispensabile rassicurarli circa il nostro amore per loro che è immenso, certo e perenne; cosa di cui talvolta dubitano a causa delle nostre incertezze, défaillances e previsioni tutt’altro che rassicuranti circa il futuro.
Ma se il tempo non compisse la sua opera e il disagio aumentasse?
In tal caso è bene ricorrere al medico che darà le opportune indicazioni terapeutiche, da affiancare all’azione educativa.