Come possiamo insegnare ai nostri figli a “prevedere ” le conseguenze delle loro azioni, onde evitare di castigarli?
Insegnare, vuol dire, ce lo dice S. Agostino, signare in; cioè indicare la meta, il punto dove vogliamo arrivare. L’obiettivo cui tendere. In questo caso vogliamo insegnare a prevedere le conseguenze delle azioni che si compiono, delle scelte che si effettuano, delle decisioni che si prendono; perché solo così si spezza il nesso tra disobbedienza e castigo.
La conseguenza di una disubbidienza non è la punizione?
No assolutamente! Prevedere le conseguenze non significa elencare le sanzioni che chi sbaglia riceverà, noi siamo contrari alle punizioni e vorremmo che mai nessun educando ne ricevesse. Cosa che riusciva benissimo a don Bosco: Da circa quarant’anni – dice – tratto con la gioventù e non ricordo di aver usato castighi di sorta, e con l’aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto di dovere, ma eziandio quello che desiderava, e da quegli stessi fanciulli, cui sembrava perduta la speranza di una buona riuscita.
Ma noi non siamo santi, ricorriamo troppo poco all’aiuto di Dio e troppo spesso ai castighi! II guaio e che questi sono inefficaci perché hanno il solo scopo di creare sensazioni negative nel bambino, senza aiutarlo a comportarsi in modo diverso.
Prevedere le conseguenze è anche 1’esatto contrario del permissivismo, del comportamento, cioè, di chi dice: Lasciamogli fare quello che vuole, tanto sbagliando si impara. Sbagliando non si impara, o almeno se si impara ciò avviene con grande dispendio di energie psichiche, emotive, razionali, ecc. Non sbagliando ed ottenendo il risultato positivo, la fiducia in sé aumenta, la vita é bella e i giovani crescono con animo buono.
Infine, prevedere non è nemmeno subire le conseguenze naturali delle proprie azioni. Se Emilio ha rotto il vetro della finestra della sua camera, lasciamolo dormire per qualche giorno al freddo onde capisca 1’errore compiuto (così Rousseau). Le conseguenze naturali dei nostri errori ci sono indubbiamente, servono anche da lezione; ma meglio, molto meglio è non errare affatto.
Facciamo un esempio?
Se mio figlio si avvicina alla stufa, io dico: Scotta, così dicendo sto semplicemente anticipando le conseguenze e mai e poi mai mi sognerei di lasciarlo ustionare come modalità educativa. É di gran lunga meglio rendere i figli parte della soluzione che parte del problema.
Invece dei castighi, insegniamo a prevenire!
Sì! E perciò:
– enunciamo con chiarezza, fermezza e con calma che cosa chiediamo; diciamo quel che ci aspettiamo (quale sarà cioè il risultato), qual é la regola di famiglia che é da attuarsi; (se i figli protestano non raccogliamo la provocazione, ma siamo fermi nel ribadire la regola, ad esempio: Prima i compiti, poi la Tivù): – rassicuriamoli sul fatto che sono capaci, quindi riusciranno benissimo a fare quanto devono; non minacciamo castighi e non rimproveriamoli con frasi del tipo: Sei il solito tiratardi, mi fai sempre tribolare quando è ora di fare i compiti;
– esprimiamo la nostra disapprovazione con forza se la regola non viene rispettata immediatamente, non con lagnanze, ma dicendo che cosa proviamo a causa del loro comportamento e perché lo proviamo;
– insegniamo a nostro figlio come rimediare ad un errore: So che non volevi rovesciare l’olio della moto sul pavimento del garage, d’altronde ti ho chiesto io di passarmelo, ma ora non spargerlo, ti mostro come si fa a raccoglierlo…;
– offriamo una alternativa, quando e possibile: O stai nel passeggino e cammini dandomi la
mano;
– passiamo all’azione: Visto che non mi dai la mano ti rimetto nel passeggino.
Insomma, meglio prevedere che punire…
Se così non fosse, che razza di pedagogia preventiva sarebbe la nostra? Le punizioni non modificano in meglio un comportamento problematico. Se si castiga un bambino e il suo comportamento non migliora e il caso di cercare una soluzione diversa. La pena inflitta spesso è inefficace perché vuole dare una lezione ai figli, vogliamo farli soffrire così imparano; ma ciò genera solo rabbia e desiderio di prendersi la rivincita. Un bambino punito non impara nulla su come modificare il suo comportamento.
Ma a che età è possibile insegnare a prevedere le conseguenze delle proprie decisioni?
Risposta molto, molto difficile perché prevedere le conseguenze significa pensare; ma non voglio entrare in disquisizioni psicologiche, né sottrarmi alla risposta. Dico per prima cosa che non è affatto detto che le conseguenze le debbano prevedere sempre e da soli gli educandi, possiamo semplicemente esplicitarle noi ed aiutarli a riflettere. Dico che già durante la scuola dell’infanzia i bambini socializzano la parola e 1’azione, sono cioè capaci di proporre all’amico seduto davanti alle costruzioni: Facciamo una casa?, il che vuol dire che il risultato – la casa cioè – e previsto; concretamente, intuitivamente certo, ma immaginato almeno. Da qui in poi il progresso del pensiero è talmente rapido che passa dalle operazioni concrete e intuitive alle operazioni astratte in pochi anni. La risposta dunque potrebbe essere: da sempre ovviamente adattandosi alla realtà dello sviluppo intellettuale, tenendo presenze che nel periodo dell’infanzia e della fanciullezza il pensiero non ha ancora raggiunto la piena capacità di astrazione e che noi siamo lì per aiutare a prevedere per prevenire.