Da quanto abbiamo detto più volte, potrebbe sembrare che basti dire “frequentemente” al nostro bambino che è buono, bravo, intelligente, ecc. affinché sia tale, affinché abbia un alto livello di autostima e si comporti bene, è così?
È importante sgombrare subito il campo dall’equivoco: non è che se un genitore dice “spesso” al figlio che è buono, bravo, intelligente, simpatico, allegro, ecc. per ciò stesso lo diventerà; no, non è vero!
È vero che molte mamme e molti papà tendono più a criticare i figli per i loro – anche “involontari” – errori che ad approvarli quando, con “volontà” ce l’hanno fatta, si sono comportati bene, hanno perseguito con tenacia il risultato voluto, hanno svolto con cura, competenza, serietà l’incarico che era loro affidato. Perciò è vero che la pedagogia positiva pone la sua attenzione prevalentemente ai successi dell’educando, per lodarlo tutte le volte che si è impegnato seriamente, digli “bravo” immancabilmente quando con volontà costante e ferma ha raggiunto l’obiettivo che si proponeva; ma sostiene anche che sarebbe un errore lodarlo “a vanvera”, difenderlo sempre, non correggerlo quando sbaglia, cedere ai suoi capricci, soprassedere alle sue negligenze, pigrizie, ecc.
Dunque, puntare eccessivamente e acriticamente sulla visione positiva di sé rischia di essere fuorviante?
Fuorviante e pericoloso perché i bambini potrebbero sviluppare un’idea delle loro doti come qualcosa di innato e immutabile, talenti ricevuti in dono, qualcosa che “o ce l’hai o non ce l’hai” e per ciò stesso correre il rischio di non imparare che lo “sforzo” è una condizione immancabile per coltivare e far crescere le nostre risorse naturali.
Secondo quell’ottica chi è buono lo è per natura e “naturalmente” (cioè senza fatica) si comporterà bene, chi è intelligente imparerà facilmente tutto e altrettanto facilmente risolverà i suoi problemi e riuscirà nella vita; chi è socievole, avrà un gran numero di amici, e senza nemmeno coltivare questa sua dote naturale, ecc.
Ma non è così?
In realtà questa visione delle cose rischia di provocare solo insicurezza: la necessità di impegnarsi viene vista, infatti, come una minaccia all’immagine di sé come persona intelligente e buona. Lodare i bambini è sicuramente cosa giusta solo se questa lode è centrata più sullo sforzo che sulle capacità, più sul lavoro che sul talento. Questo permette di sviluppare un atteggiamento sicuro e capace di resistere alla demotivazione di fronte all’insuccesso, contribuendo a eliminare quel senso di impotenza che coglie chi pensa che un cattivo risultato sia dovuto alle proprie scarse capacità piuttosto che all’insufficienza dell’applicazione personale verso il risultato. Chi la pensa così si sente minacciato dagli errori perché li ritiene attribuibili a una carenza innata e quindi non rimediabili non superabili nemmeno mettendocela tutta. L’errore diventa così la dimostrazione provata della propria scarsa intelligenza, perché secondo quest’ottica chi fa fatica per riuscire non ha qualità sufficienti, una persona veramente intelligente ce la fa senza grande sforzo.
Una visione statica delle doti naturali contro una visione dinamica ed evolutiva delle medesime?
Esattamente! Chi ha una visione statica si sottrae alle sfide per non aumentare il rischio di sbagliare e apparire meno capace, evita gli sforzi nella convinzione che chi ha bisogno di impegnarsi a fondo sia meno brillante. Chi invece ha una visione dinamica delle doti naturali è orientato a padroneggiare le situazioni, le considera modificabili e suscettibili di cambiamento in meglio, tramite la volontà e l’impegno. Secondo questa visione lottare per imparare diventa più importante che ottenere successi, le sfide diventano uno stimolo poiché costituiscono un’occasione per crescere.
Chi ha una visione dinamica come reagisce di fronte ad una sconfitta?
Di fronte ad una sconfitta, mettiamo un’insufficienza in un’interrogazione a scuola, chi ha una visione dinamica tende ad aumentare i propri sforzi, studiando di più e cambiando strategia di preparazione per padroneggiare meglio la materia in quanto convinto che l’insuccesso dipenda da poca diligenza e non da scarse capacità; si impegna con risolutezza finché riesce a padroneggiare le difficoltà scolastiche e a mantenere buoni livelli di apprendimento.
Finendo possiamo dire che lodare l’intelligenza o la bontà, ecc. di un bambino rischia di renderlo più fragile?
Lo possiamo dire se pensiamo a lodi sperticate, ingannevoli e false che non hanno ragione di essere; non lo possiamo dire se lo elogiamo non tanto per caratteristiche innate quanto per il modo con cui è riuscito a fare una cosa; per il coraggio dimostrato, per la voglia di confrontarsi con le sfide, per le strategie scelte e la concertazione impiegata.
Dobbiamo cambiare?
Sì! Cominciando dal modo di parlare. Non quindi: Ma come sei stato bravo nell’interrogazione di storia; ma: Hai studiato davvero bene per l’interrogazione di storia, hai riletto il capitolo più volte e ti sei anche allenato a ripetere. Bravo!
Non più quindi: Hai sbagliato di nuovo, sei proprio un asino; ma: Gli errori sono proprio utili a volte, ecco un errore interessante; vediamo che cosa ci permette di imparare!
A queste accortezze del nostro modo di lodare i bimbi si debbono, ovviamente, affiancare costanti “modelli di sollecitudine” nel lavoro, nel bene, nell’onestà, nella capacità di affrontate i problemi, nel risollevarsi dalle sconfitte di cui noi ci sforziamo di essere testimoni, soprattutto quando guardano a papà e mamma.
Favorendo una visione dinamica o ”costruttiva” dell’intelligenza e delle altre doti è quindi possibile, non solo tra le mura domestiche ma anche nelle aule scolastiche, dare gli strumenti giusti per riuscire nella vita, incrementare la stima di sé, iniettare fiducia, garantire capacità di affrontare i disagi della vita ed energie per risollevarsi dopo ogni sconfitta.