I compiti a casa sono un problema?
I compiti a casa li considero una violenza, un intervento assurdo che pesa non solo sull’allievo, ma su tutta la famiglia e che promuove in casa un clima di vera e propria patologia delle relazioni.
Così scrive Vittorino Andreoli nel suo volume Lettera ad un insegnante, ma…
Ma la loro eliminazione sarebbe un bene?
Certo Andreoli ha ragione. Se non si dessero più compiti quasi tutti gli studenti sarebbero contenti ed anche tanti genitori, ma facciamo davvero il loro bene evitando ai figli anche questo dovere?
Facciamo davvero il loro bene?
Cercheremo di capirlo esaminando le ragioni per il no e quelle per il sì; precisando da subito che le lamentele, i borbottamenti, le critiche agli insegnanti, la mancata assunzione di decisioni chiare, ecc. sono “cose da pedagogia negativa” cose che, dunque, noi non faremo… Noi – che siamo i fautori della “pedagogia preventiva positiva” – discuteremo in questa sede il problema, ci chiariremo le idee e saremo coerenti nei comportamenti educativi con quanto abbiamo elaborato e fatto nostro.
Perché andrebbero aboliti?
Perché la scuola deve esplicare il suo ruolo durante le ore di lezione, evitando di angustiare le famiglie al pomeriggio; perché i genitori non hanno tempo per seguire i figli durante lo svolgimento dei compiti; perché non tutti sono in grado di dare un aiuto qualificato; perché i compiti impediscono a mamme e figli di dedicarsi ad altro fino a che non sono eseguiti; perché costringono a mentire, cioè a dire: non ho nulla da fare; perché, e qui nessuno ha da eccepire, nella scuola a tempo pieno è impensabile che ci siano ulteriori esercitazioni per gli alunni. Si possono aggiungere altre motivazioni e tutte con un loro fondamento.
Quali sono le ragioni per mantenerli?
Perché senza impegni di studio il bambino passa l’intero pomeriggio davanti alla tv, alla play-station, al computer o al video-gioco; perché sono un freno all’esplosione di corsi di karaté, di nuoto, di danza, di calcio, e chi più ne ha più ne metta; perché servono ad esercitare il ragazzo su quanto ha appreso a scuola; perché gli allievi devono imparare a leggere, studiare, ragionare, scrivere, risolvere problemi anche da soli e a riferirne al docente; perché il ragazzo deve acquisire, a poco a poco, la responsabilità personale con alcuni doveri scolastici anche domestici, i cui risultati saranno consegnati all’insegnante che li valuterà o “positivamente” o negativamente, abituandolo così alle gratificazioni per un risultato positivo, ma anche alle frustrazioni se il lavoro presentato non è adeguato alle sue possibilità.
Quali posizioni negative è bene non assumere circa questo problema?
I genitori, se sono veri educatori, non possono assolutamente criticare, davanti al figlio, la scuola che “dà sempre troppi compiti” e non possono rifiutare il loro ruolo di vigilanza a che i compiti vengano fatti con cura e con il tempo necessario. Non è il caso di imporsi con autorità, ma esclusivamente facendo appello al senso del dovere. Non serve minacciare castighi o promettere premi.
La pedagogia quali suggerimenti può dare?
Il problema mi sembra uno dei più trascurati sul piano della pedagogia preventiva. Quali sono, infatti, i genitori che prima delle iscrizioni alla scuola si pongono la questione, la discutono con i docenti e preparano adeguatamente il futuro scolaro?
Invece è anche qui estremamente necessario dotarci anticipatamente di idee ben chiare che stimoleranno un comportamento educativamente adeguato in accordo tra scuola e famiglia.
Quale potrebbe essere un punto di partenza sicuro e comune tra scuola e famiglia?
Trascurando quei docenti che danno esercizi a casa per punizione perché non dovrebbero esistere più, mi permetto di suggerire un punto di partenza sicuramente positivo: “Gli insegnanti danno compiti in quantità e qualità tali che, non solo gli alunni sono in grado di farli, ma anche di farli da soli”. Se fossimo d’accordo, scuola e famiglia, su questa affermazione, gran parte del problema compiti sarebbe risolto ed il nostro comportamento cambierebbe radicalmente.
Come cambierebbe la scuola?
Cambierebbe perché la scuola sarebbe preoccupata, nel senso che si occuperebbe “preventivamente” di personalizzare le richieste per casa secondo le capacità degli allievi.
Che cosa deve cambiare da parte della famiglia?
Noi ci impegneremmo a far fare i compiti più che prestarci, come avviene quasi sempre, ad aiutare i figli nei lavori loro assegnati o, peggio ancora, a svolgerli noi. Chiederemmo ed incentiveremmo l’impegno pomeridiano controllandoli, ma mai sostituendoci.
Ma se fossero tutti sbagliati, pasticciati, pieni di errori?
Consentiremmo che i lavori scolastici eseguiti a casa giungano scuola anche sbagliati e pieni di errori di modo che il docente possa rendersi conto della situazione e, valutandola adeguatamente, prendere le opportune decisioni; così lasceremmo fare la maestra alla maestra e non ci sostituiremmo a lei, commettendo un grave errore pedagogico.
Adottando un comportamento positivo riguardo ai compiti, quale potrebbe essere l’esito?
L’esito potrebbe anche essere che nostro figlio, un poco alla volta e con fatica (come è giusto), impari ad essere uno studente diligente e autonomo quel tanto che serve per ottenere buoni risultati con grandi benefici anche fuori dalla scuola, cioè nella vita.
Ma per chi è un poco più lento?
Ci sono anche alunni in difficoltà di apprendimento certo, e questi vanno aiutati, se necessario anche a casa. Ebbene, in questi casi, saranno gli educatori stessi che chiederanno alla famiglia di cooperare all’azione di recupero con interventi specifici che possono comprendere anche i compiti.
Infine che possiamo dire agli insegnanti?
Vorrei che si chiedessero seriamente se i compiti servono. E se rispondono, come penso io, di sì, sappiano che non vanno dati in modo uniforme per tutta la classe e vanno usati con estrema ponderazione. Un professore capace e ben organizzato, infatti, non ha bisogno di dare tanti compiti.