Che differenza c’è tra competitività ed aggressività?
L’interazione competitiva è normale modalità di rapportarsi dell’uomo con il mondo fisico, vivente ed umano. Ci confrontiamo con le difficoltà che la vita ci pone e le superiamo. Ci sappiamo difendere dal freddo, dalla fame, dalle avversità naturali, ci rapportiamo normalmente con il mondo animale e sappiamo ricavare da questo notevoli vantaggi per la vita dell’uomo. Ci confrontiamo infine con gli altri uomini, con lo scopo non del dominio ma del miglioramento, in quanto insieme riusciamo a produrre risultati positivi. La competizione quindi non è da evitarsi, se da essa si trae stimolo a migliorare.
Diverso è il caso dell’aggressività…
Sì, diverso. Tu mi minacci, dunque io tiro fuori le mie armi di difesa e di offesa e se posso ti vinco e ti domino.
Competitivo è il bambino che chiede alla mamma di comprargli il gelato, lo chiede con insistenza, finché la mamma risponde o sì o no. Aggressivo è il bambino che chiede e se non ottiene si mette ad urlare, si rotola per terra, sbraita, finché la mamma cede.
Competitivo è il papà che vuole la cameretta del figlio in ordine, chiede una specifica assunzione di responsabilità e, mancando eventualmente il figlio al compito, lo castiga. Aggressivo è il genitore che dice: Se non metti in ordine la camera entro stasera ti prendo a calci.
Ben sappiamo che competitività ed aggressività sono normali nel bambino, ma sappiamo anche che noi possiamo, con opportuni interventi pedagogici, indirizzare l’aggressività nostra e loro verso una sana competitività.
Certamente i modelli di oggi non sono edificanti. Telegiornali, stampa, videogiochi, film, spettacoli orientano verso l’aggressività, ma non nascondiamoci dietro l’alibi della società violenta per rinunciare al nostro ruolo. L’educazione è strettamente nelle nostre mani e, se noi siano non violenti, ma saggiamente competitivi, da noi impareranno i nostri figli.
Ma se fosse troppo tardi?
Ci stiamo purtroppo accorgendo che “è” troppo tardi, che la violenza non è solo negli stadi, che nelle nostre scuole i bulli la fanno da padrone, che infine è anche in casa nostra. Perciò la ricerca di una soluzione positiva deve partire proprio all’interno delle mura domestiche. Preoccupiamoci innanzitutto della nostra casa e cominciamo con una sola regola di famiglia “noi siamo pacifici”. Comunichiamola chiaramente, discutiamola, concordiamola e diciamo chiaramente che sarà rispettata da tutti; per le altre provvisoriamente applichiamo la “medicina della misericordia” (Papa Giovanni XXIII-discorso di apertura del Concilio), tenendo presente che la medicina si dà a chi è malato e che quindi, acquisita la prima regola seguiranno le altre per tutta la famiglia me compreso. Me compreso perché la persona autoritaria impone regole agli altri, la persona autorevole propone regole che riguardano tutti, accettando anche la discussione sulle medesime, ma sapendo che l’ultima parola spetterà a lui. È faticoso, ma alla fine paga.
Mettiamo il caso che io educatore, o mio figlio ci troviamo a confrontarci con un bambino aggressivo…
Certo non è risposta facile, soprattutto non è cosa facile, ma partiamo da alcuni dati generali. L’aggressivo è sostanzialmente un timido-esibizionista che ha bisogno di consenso. Provoca, sfida, picchia, dice parolacce, calunnia e si aspetta una risposta. Rispondere o no? Talora è bene non rispondere, sovente la mancata risposta esaurisce l’atto. Occorre invece rispondere se l’aggressione viene reiterata e la modalità intensificata. In questo caso è necessario intervenire chiaramente sul prepotente per fargli capire senza urli, ma con molta severità che non tollereremo ulteriori attacchi, comunicando “preventivamente” e subito le conseguenze per nuove manifestazioni di violenza. Certo non è facile minacciare castighi e talvolta ci sentiamo impotenti, ma se ci pensiamo bene, le idee ci vengono e siamo in grado di dire come ci comporteremo.
Ma come facciamo a sapere se il nostro bambino è vittima di scherni, vessazioni, prese in giro o peggio?
Non è certamente interrogandolo con fare inquisitorio o spiandolo che saremo informati di tutto, non è certamente tenendolo chiuso in casa ed accompagnandolo ovunque, che lo proteggeremo. Tipico è il caso di quella mamma che dopo aver caricato il figlio sul pullman ed averlo affidato all’allenatore cominciò a coltivare cattivi pensieri. Il primo semplice consiglio che ripeto sempre è quello di non tempestare di domande il figlio, ma di tacere noi affinché parli lui, di non correre a casa dopo la scuola per piazzarlo davanti alla tv, ma di camminare lentamente lasciandolo parlare per valorizzare tutto quel che dice senza stroncarlo mai. Certamente è anche opportuno sganciarsi dal quotidiano per fare qualcosa di alternativo: una bella lunga passeggiata a piedi, tutta la famiglia, allegri, contenti in mezzo alla natura, cantiamo, parliamo, scherziamo e se c’è qualcosa verrà fuori. Se non viene fuori non c’è.
Che cosa consigliare ai nostri figli/alunni?
Parlando ai bambini dai 3 ai 6 anni ed ai fanciulli dai 7 ai 12 è bene consigliare di non reagire davanti alle prepotenze, di non arrabbiarsi, di non piangere, di non implorare, ma di allontanarsi e di andare nel gruppo degli amici. Il consiglio principe è: sia in strada che in scuola, stai sempre insieme con loro, siete amici no? Dopo parlane con me o con la maestra, con tuo fratello o con tua sorella, fidati, se ne parli il problema è già risolto.
Allo scopo di preparare prima i nostri figli ad affrontare i problemi, queste cose sono da dire così per caso, un giorno a cena ovviamente a tivù spenta, quando si è accennato ad argomenti di questo genere, anche se non ne ravvisiamo l’immediata necessità.