I “messaggi” che trasmettiamo ai nostri figli, circa la fede (a)

 

Come ci sentiamo “da credenti”? Che genere di messaggi inviamo ai nostri bambini? O, come sempre, tutto scorre… senza lasciare traccia…

No, non scorre, un modello comunque lo trasmettiamo. Il primo assioma della comunicazione – infatti – è proprio quello che dice: Non si può non comunicare, quindi sempre trasferiamo qualcosa di nostro ai bimbi; magari solo l’indifferenza, oppure… .

 

Un papà ed una mamma che hanno il dono della fede, come possono manifestare la loro gioia?

Occorre decisamente abbandonare la strada della pedagogia negativa con la quale diciamo al figlio pressappoco così: C’è poco da stare allegro, caro mio… con quel che capita nel mondo, perciò sono arrabbiato, scostante, guardingo; fidarsi è bene e (ovviamente) non fidarsi è meglio; ma tu sei ancora piccolo, goditi questi anni, il “bello” verrà dopo, vedrai!; per imboccare la strada della positività; per dire, invece, a chi ci guarda con affetto e stima e vuole da noi modelli credibili: La vita mi ha consentito di scoprire una dimensione che (e qui basta guardarsi intorno) sembra scomparsa; è la dimensione meravigliosa della gioia nella fede; la felicità di un’esistenza fiduciosa, anche quando sbaglio, perché c’è un rimedio…sempre! (Mi alzerò… andrò da mio padre gli dirò…). Ti aspetta una vita serena che vale la pena di esser vissuta e gustata pur con talune amarezze, avversità, errori e peccati; oltre i quali c’è inequivocabilmente la resurrezione di Cristo trionfante, che vuole tutti salvi; basta alzarsi e tornare dal Padre.

 

Forse questo è il “giusto momento pedagogico” di parlare ai figli della Chiesa?

Forse non tanto di parlare (anche, indubbiamente!) quanto di “essere Chiesa”. Perché anche qui siamo carenti. Molti dimostrano di credere senza appartenere; di confidare in un “qualche Dio”, ma quasi, quasi senza adesione alcuna. Questa posizione può riassumersi nelle seguenti parole (che non diciamo ai bambini, ma che loro “ricevono” dal nostro concreto modo di comportarci):

Dio sì, Chiesa no; Cristo sì, ma preti no; la Chiesa è vecchia e deve decidersi ad adeguarsi ai tempi; ma tu che sei ancora piccolo vai in chiesa, che in ogni modo non ti fa male. Certo una visione convinta e coerente della nostra posizione ci porterebbe a dire che: Cristo ha voluto la sua Chiesa fondata sugli uomini e non sugli angeli; su Pietro e sui Discepoli e che questa Chiesa è “per Lui” grande nei secoli, pur nella “umanità” di tutti…, preti e laici. E convinti di questo ci sarà facile continuare puntando decisamente in alto e dicendo al figlio che: L’adesione alla Chiesa – oggi – esige uno sforzo continuo di anticonformismo, perché richiede di porsi in rotta di contrasto con l’ambiente circostante e tu ne sei sicuramente capace.

 

Dunque il “genitore positivo” comunica la sua adesione convinta anche alle “pratiche religiose”?

Manifesta la sua fede convinta e la manifesta anche con un’altrettanta convinta partecipazione alla Riconciliazione, alle funzioni religiose, al banchetto del Corpo e Sangue di Cristo, al Mistero Pasquale.

Il messaggio pedagogicamente negativo, nella migliore delle ipotesi, in questo caso è: Si va bene, io – qualche volta – vado in chiesa, ma non esagero, perché non sono bigotto. Non è poi indispensabile la Messa tutte le domeniche. Il rosario, poi? No, dai… è roba da donnette. Perché, poi “io” – quando ho bisogno di parlare con Dio – gli parlo direttamente e, a volte, gliele dico di santa ragione. Ma tu devi andare alla Messa dei bambini e porta il cero durante la Via Crucis del venerdì santo, che sei così bello”.

Certamente diverso è il discorso del genitore convinto che il rapporto con il Risorto è rapporto con una persona che si esplica sia (ma non unicamente) con il colloquio diretto; sia con la preghiera, con la Messa domenicale: Perché, lì si incontra personalmente Gesù. E non solo: Quelle pratiche religiose che sembrano così “popolari” nutrono la mia vita e, come hanno dato fede, speranza e carità a me e a tanti uomini, dai più semplici ai più grandi, la possono dare anche a te.

 

Ma, oltre ai credenti non praticanti, non ci sono forse anche i praticanti non credenti?

Capita di scoprire anche questi, che hanno comunque costruito nel tempo un loro modo di pensare e vivere il cristianesimo e perciò si sentono a tutti gli effetti dei cristiani e tali si manifestano ai figli; ma in sostanza la loro fede è rimasta piccolissima, all’età della fanciullezza e veramente si trovano in difficoltà a trasmettere il dono che hanno ricevuto. Sanno che è un bene prezioso; vogliono davvero comunicarlo ai figli; arrivano a condividere – se portati a riflettere – la frase del beato Giuseppe Tovini: I nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi; con la fede non saranno mai poveri. Ed allora ecco opportuno il nuovo cammino di Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi che ritiene necessario (anzi indispensabile) coinvolgere i genitori nell’educazione alla fede dei loro figli, vincendo la tradizionale tendenza alla delega. Ecco un bel modo per alimentare la nostra capacità pedagogica di “insegnare” la fede; dove con la parola “insegnamento” si intende “e” educazione “e istruzione: educazione religiosa in specifico, ma anche istruzione religiosa; perché “sapere non è credere”, ma non è possibile “credere senza sapere”.

Ecco questa è una buona strada per la pedagogia positiva che vuole noi guida autorevole e sicura, nella quale i nostri figli ripongono piena fiducia.

 

E che dire agli insegnanti?

Questo mi pare importante per le stesse istituzioni scolastiche, iniziare a fare informazione e formazione anche per i genitori, prevedendola nei Piani dell’Offerta Formativa (POF) ed attuandola non solo con qualche incontro in talune scuole più attente ai rapporti scuola-famiglia; ma in forma sistematica ed organica.