Altre domande e risposte brevi?
Sempre con l’avvertenza che abbiamo già dato, e cioè che quanto viene detto non è una ricetta idonea a dare una sicura soluzione ai problemi educativi. È semplicemente una proposta di pedagogia positiva che può tradursi in atti educativi, diversi nei modi e nei tempi, a seconda delle persone in interazione.
È bene che un bambino piccolo veda la mamma, il papà o un altro parente stretto in ospedale?
Mi pare di poter dire che non sia male sotto il profilo educativo che i bambini entrino in contatto con la struttura ospedaliera, infatti, la malattia fa parte della vita e non è da nascondere. Certo dobbiamo prepararli adeguatamente, spiegando loro che le persone in certe circostanze si ammalano e dicendo che c’è appunto l’ospedale che aiuta a guarire. Dobbiamo esser sicuri che i bimbi possano accedere al reparto che vogliamo visitare e mai e poi mai portarveli se è vietato. È bene anche evitare il periodo acuto della malattia, scegliendo i momenti di maggior serenità del malato, ed è positivo chiedere ed ottenere un comportamento consono all’ambiente in cui saremo, per il dovuto rispetto per le persone ricoverate e per motivi igienici. Se è consentito e con le dovute precauzioni, dunque, possiamo visitare il parente o l’amico ricoverato in ospedale con i nostri figli.
Una categoria di persone che si vede pochissimo in ospedale è proprio quella dei nipoti o dei figli, e quanto più piccoli sono, tanto meno si tende a portarli, temendo a torto che possano essere spaventati o traumatizzati. A torto perché più un bimbo è piccolo, meno ha pregiudizi e si avvicina con tranquillità a ciò che è nuovo se vede le figure di riferimento tranquille e rilassate rispetto alla situazione che stanno per vivere. Quindi basta che il genitore si accosti con naturalezza al parente ricoverato perché il figlio faccia altrettanto e basta che papà e mamma rispondano alle domande e curiosità del figlio, con parole e contenuti adatti alla sua età, per dare fiducia ed esprimere autorevolezza. Questa esperienza, così fatta, aiuta a crescere.
Non va sottovalutato poi, nemmeno il valore terapeutico della visita per il malato che, appena vede il figlio od il nipotino diventa felice, dimentica la malattia e lo tiene per mano. E questo fa bene, aiuta a voler guarire, a sperare, ad avere fiducia nella vita. Questo non lo possono dare gli operatori sanitari, per quanto attenti siano alla persona, tocca a noi.
Che ne pensa del nuovo cammino di Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi che coinvolge anche i genitori? Non sembra un ricatto della serie: Se non partecipi agli incontri, tuo figlio non farà la prima comunione?
Ne tratteremo successivamente (si veda il cap. LXII: Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi), per ora anticipo che ne penso tutto il bene possibile. Pare a me una possibilità veramente valida, per riappropriarsi dell’educazione dei figli anche per ciò che riguarda la fede. Viviamo una grande emergenza pedagogica, in tale situazione l’impegno della Chiesa per orientare i genitori alla testimonianza, assume più che mai anche il valore di un forte contributo per far uscire la società dalla crisi che la affligge. Non c’è nessun obbligo per chi non ha questo obiettivo; ma ben venga anche l’obbligo per chi vuole seriamente educare i figli. Una responsabilità che ci toglie dalla nostra ignavia, ci costringe ad interrogarci sulla nostra fede che è modello per i nostri figli. Ma che modello è? Chiediamocelo, proprio durante gli incontri dell’ICFR genitori.
L’ICFR è un bellissimo mezzo per la pedagogia positiva che non vuole far camminare i nostri bambini, ma camminare noi con loro. Noi guida autorevole e sicura, nella quale ripongono piena fiducia.
Che atteggiamento devo tenere nei confronti di mio figlio undicenne che nello sport o nelle competizioni di vario genere non sa perdere (un po’ come il papà quando era giovane)?
Sappiamo che il nostro bambino imparerà un poco alla volta, come abbiamo imparato noi; ma noi cerchiamo di aiutarlo applicando non la pedagogia negativa, ma la pedagogia preventiva positiva. Evitiamo dunque di rimproverarlo, di denigrarlo, di deriderlo quando non accetta la sconfitta. Facciamogli invece “preventivamente” e “positivamente” intendere che esistono tre tipi di partite a qualsivoglia gioco: la partita di allenamento nella quale impariamo insieme e dunque ci esercitiamo a giocare bene, a capire, ad agire, a correggere gli errori e nessuno vince o perde; l’incontro amichevole che si fa per diletto, perché ci piace giocare, e non importa chi perde o chi vince; la gara competitiva in cui qualcuno vince e qualcuno perde. Tutti e tre hanno un loro valore, sia per il divertimento sia per il tirocinio alla vita. Posso consigliare di fare molte partite per diletto o per allenamento con i figli, molti giochi così per giocare ad esempio a carte, a dama, a scacchi, a pallavolo, a basket, anche a pallone ovviamente, e pochi incontri agonistici. Chiediamo apertamente al bambino prima della sfida competitiva di accettare il risultato, qualunque esso sia. Se necessario si gli chieda di scrivere ciò che promette su un foglietto e se lo metta in tasca come faceva don Bosco, quando i suoi allievi facevano una promessa. Un poco alla volta ce la farà.
Doveva tornare alle sei e mezzo, è tornato con un’ora di ritardo! L’ho castigato subito…
Tra la violazione e la punizione è bene frapporre l’assunzione di impegno. Mi spiego: se lei avesse lasciato parlare suo figlio può anche darsi che le avrebbe detto: Scusami mamma. Ho sbagliato, non succederà più! In questo caso il castigo non serve. Solo la violazione dell’impegno assunto dà accesso al castigo.
Il mio nipotino (un anno e due mesi) fa già i capricci: sta in ginocchio in terra si tira su e strilla perché non gli ho permesso di toccare una certa cosa o non gliene ho data una cert’altra. Che fare?
“I capricci devono essere improduttivi”. Questa è la frase importante che dobbiamo ben conoscere e ben applicare. Che i bambini li facciano è normale; ma se non la vincono un poco alla volta smettono; se invece coi capricci ottengono ciò che vogliono, imparano che così si può avere o non solo ripetono il comportamento, non solo lo adattano ad altre situazioni, ma anche lo intensificano.
Quando esco con il passeggino, la mia piccolina (un anno e mezzo circa) non vuole tenere il cappellino, anche quando il sole scotta…
Stabilisca questa regola: Il passeggino non va se non hai il cappellino, dica proprio così alla sua bimba (capisce!, capisce!) e la applichi (anche l’inverno quando il cappellino serve per proteggersi dal freddo).