Durante queste vacanze (con i miei due nipotini e la loro famiglia) non ho potuto non ascoltare taluni adolescenti – vicini di ombrellone – che si esprimevano normalmente in modo osceno … e non mancavano, purtroppo, nemmeno le bestemmie. Intanto, non molto lontano da me, una mamma riprendeva suo figlio con espressioni che non si discostavano molto da quelle dei ragazzini citati prima. Contemporaneamente sul nostro giornale, che mi ha seguito al mare, leggevo la lettera della senatrice Cirinnà che conteneva una brutta parola, forse entrata oramai nel linguaggio consueto, ma che faccio fatica ad accettare. Ultima la nonna che rimprovera il nipotino sboccato dicendo: «Ma non lo sai che se dici così offendi Gesù e ti castiga».
Che fare? Quali azioni preventive intraprendere per evitare che anche i nostri figli (o nipoti) si uniscano al coro? Non c’è dubbio che noi dobbiamo essere i primi a dare l’esempio. Invece… mandiamo i bambini in parrocchia, all’asilo delle suore, all’oratorio, ai campi scuola, al catechismo; ma intanto in famiglia valgono altre regole, si impreca, si bestemmia, si usa un gergo da caserma. Ripuliamo dunque il nostro dire e – ogni volta che i nostri figli si esprimono in modo volgare – facciamo presente con orgoglio e con fermezza che: «Noi siamo una bella famiglia ed abbiamo scelto di usare parole altrettanto belle». Quindi stabiliamo la regola che le parolacce: «Non si dicono… mai, né qui, né fuori casa» e facciamola rispettare.
Purtroppo la “regola” è violata costantemente dalla tivù, dai politici, dai compagni e dalla società in genere. Ma, ogni volta che ciò accade … a nostro figlio non mancherà la consapevolezza di un comportamento non conforme a quello che è giusto e quindi vivrà un senso di disagio che è di buon aiuto per perseverare nella scelta proposta dalla famiglia.
E infine, circa il riferimento all’offendere Gesù, fatto dalla nonna: la fede, lo abbiamo detto più volte, la trasmettono i genitori con i loro esempi di vita concreta ed i bambini crescono bravi per l’educazione che ricevono in casa. La religione non serve a “tener buoni” i bambini minacciando castighi di Dio, inferni e quant’altro; si tratta semmai di partire da una buona educazione morale (che non coincide con l’educazione religiosa tant’è che può esserci una buona educazione morale anche in una famiglia atea) che ha come meta la capacità di distinguere il bene dal male, la capacità di scegliere il bene, il meglio, il bello.