“I giovani d’oggi non hanno più valori”. È una frase che si sente spesso durante gli incontri con i genitori, soprattutto dai genitori degli adolescenti. Ma qual è il modo migliore per trasmettere i “valori” ai nostri ragazzi? Non certamente quello dirli, ripeterli o inculcarli (letteralmente “calcarli coi piedi”)… Vanno prima “vissuti” da noi, poi proposti con l’esempio nella vita concreta. Loro, i ragazzi, vedendoci agire con verità, sincerità, onestà, chiarezza saranno spontaneamente orientati a seguirci sulla stessa via semplicemente guardandoci e vivendo con noi. Noi genitori, con il nostro comportamento fatto di parole, gesti ed azioni quotidiane, siamo un modello per loro. I nostri figli, allievi, educandi si nutrono di ciò che vedono in noi. Ascoltano, intuiscono, assorbono, anche ciò che trasmettiamo loro inconsapevolmente.
Immediata emerge l’obiezione: “Ma così li plagiamo!”. No! Loro hanno assolutamente bisogno belle nostre certezze per sentirsi sicuri: questo sempre dalla nascita alla maturità (e anche oltre); ma verrà il momento in cui vaglieranno quanto ricevuto e decideranno se farlo proprio o rigettarlo. Non mancheranno, infatti, a partire dalla preadolescenza di sottoporre al vaglio critico i nostri modelli. Quando saranno usciti dall’egocentrismo ed entrati in una prospettiva più ampia, quando raggiungeranno pienamente la capacità di riflettere e di pensare con la loro testa ed avranno coscienza delle conseguenze delle loro azioni aderiranno agli ideali che ritengono giusti. Allora sapranno decentrarsi e vedere l’universalità che supera il singolo per dare significato e concretezza a parole come rispetto, libertà, giustizia , equità, pace, tolleranza, perdono ecc. ecc.
I valori generanno in loro la capacità di vedere quello che è bene e quello che è male non in rapporto a se stessi, alla famiglia o alla società, ai propri bisogni, a ciò che desta interesse, a ciò che colpisce; ma come principio a priori per cui una cosa è buona o cattiva “in sé” non “per me”. È esattamente il contrario del “mi piace” o “non mi piace” che chiedono di cliccare i social ai quali sembra non importare se quanto proposto sia bello o brutto, buono o cattivo, istruttivo o deleterio… quel che conta è se piace o no… riducendo tutto ad una emotività e ad un individualismo che relativizza anche i valori più elevati.