L’“età dei no” è un periodo dell’infanzia durante il quale i nostri “pargoletti”, che già parlano bene, che già dicono “io”, rispondono con un bel “no!” alle nostre richieste. Appare dopo i due anni e prosegue molto o poco tempo, a seconda dell’educazione che ricevono in famiglia. Il nostro “angioletto” ora sa che si può “dire di no” e lo dice per ottenere un risultato. Avrà successo? Gli sarà consentito di non fare ciò che rifiuta? Se sì, recepirà come molto utile il comportamento e lo ripeterà applicandolo anche a situazioni nuove; se no, ci riproverà, ma – dopo alcuni o parecchi insuccessi – il famoso “no” si estinguerà. Dunque questa fase, può durare pochissimo e scomparire prestissimo se l’azione educativa è corretta.
Durerà molto per quei bambini i cui genitori danno un mare di ordini e non si curano di farli eseguire (o impongono tanti divieti senza farli poi rispettare); questi bambini imparano che dire “no” è efficace nel senso che ottengono ciò che vogliono, per cui entrano nell’“età dei no” e ci stanno benissimo. Spesso il genitore cede spinto dalle “sue” esigenze e non da quelle del figlio. Ecco talune frasi che ci diciamo per giustificarci: «Sono tanto stanco, faccia quello che vuole»; «Io sono così triste, almeno lui sia felice». «Sto poco tempo con lui, perché dirgli di no?»; «Non sopporto di vederlo soffrire»; «Non voglio fargli mancare nulla»; «Lui mi ama, io lo amo, dunque lo accontento»; ecc. Invece bisognerebbe quantomeno adottare comportamenti preventivi, che evitino di facilitare la risposta negativa per esempio se diciamo: «Voi mangiare la minestrina questa sera?». «Fa freddo, potresti metterti il cappotto!». «Vuoi aiutarmi a preparare la tavola?», ecc. è facile sentirsi dire un bel “no”. Meglio sarebbe proporre alcune scelte: «Mangiamo la minestra o la pastasciutta?». «Fa freddo per cui puoi prendere o il giaccone o il cappotto». «Questa sera puoi scegliere o sparecchi la tavola o asciughi i piatti»; ma molto meglio è sostituirle con una semplice affermazione: «Questa sera c’è la minestra». «Ora ti metti il cappotto per uscire». «Aiutami a preparare la tavola». Così dicendo la risposta negativa non è ammessa.
L’ “età dei no” ha, invece, vita brevissima per coloro i cui genitori non cedono, sono capaci di far rispettare la richiesta, l’ordine o il divieto con assoluta certezza. In questo caso il bambino impara subito che il “no” è inutile e cessa di utilizzarlo.
In conclusione: il “no” è uno strumento con il quale il bambino “prova” i genitori e gli educatori e lo fa per capire fin dove può spingersi. Sta “andando oltre” certo, ma alla ricerca di un limite che “vuole” dall’adulto, il quale solo lo può e lo deve dare con un chiaro sistema di regole familiari rispettabili e rispettate. Questo limite è fonte di sicurezza per chi lo riceve, perché stabilisce i confini entro cui può muoversi. Il non incontrare regole o la loro poca chiarezza e coerenza, opporre un “no” ed essere accontentato crea nel bambino un senso di abbandono dettato dal sentirsi in balìa di se stesso e questo lo rende insicuro e, tutto sommato, infelice.