«Uscendo dal supermercato – scrive la mamma di Luca – ho notato tracce di cioccolato sulla bocca di mio figlio (6 anni), ho chiesto spiegazioni ed è venuto fuori che ne aveva preso una barretta dallo scaffale e se l’era mangiata tra una corsia e l’altra. Molto arrabbiata l’ho riportato dalla cassiera alla quale ho detto: “Stia attenta, perché, come vede, è un ladro” e ho pagato. Una bella “lezione”; se la ricorderà per sempre e non ruberà più!».
Forse!
Di certo la prossima volta non sarà così sprovveduto da lasciare le prove del furto sul viso. Le punizioni date d’impulso e davanti a tutti non insegnano il comportamento corretto; ma semmai a “farla franca”.
E a chi ribatte che un castigo esemplare comunque ci voleva e subito, mi permetto di dire di no. Neanche in questo caso si deve dar luogo al legame immediato “mancanza → castigo”. Come per le bugie, le disubbidienze, le parolacce, i no e le risposte sgarbate, ecc., tra i due termini: violazione e punizione va inserita l’assunzione di impegno. Cioè, scoperto il fatto e spiegato che è un atto riprovevole, si attende con tutta calma (senza stracciarci le vesti, perché sappiamo che sono cose che possono accedere e non per questo nostro figlio è un delinquente) che il colpevole parli e dica le sue intenzioni. Perché (la pedagogia positiva ce l’ha insegnato) se afferma di aver sbagliato e che non succederà più, il problema è risolto. Solo la violazione della promessa darà accesso al castigo.
Certo bisognerà, comunque, pagare quanto sottratto, ma ciò avverrà con una mentalità nuova: non come punizione, ma come comportamento corretto dopo uno sbaglio. É vero, non sarà facile convincerlo ad andare dalla cassiera a pagare la barretta di cioccolato, ma facendo leva sul senso dell’onore e sulla capacità di assumersi le sue responsabilità penso che si possa riuscire. Faciliteremo in ogni modo questo atto, per cui se vuole ci andrà da solo, se vuole accompagnato dalla mamma. Diremo che anche la mamma o il papà quando sbagliano, ammettono l’errore, chiedono scusa e rimediano al mal fatto. É il momento di insegnare a nostro figlio un comportamento responsabile, non di castigarlo davanti a tutti! «Ora – può continuare la mamma – devi pagare quanto hai preso. Fallo e dimostrerai di essere ormai un uomo».
Se il bambino ha meno di 4/5 anni, va tenuto, però, conto che non ha ben chiara l’idea della proprietà, per cui non sa che prendere qualcosa in un negozio o portarsi a casa un giocattolo dell’amichetto è un furto. Non lo fa per appropriarsi di qualcosa, ma semplicemente perché ritiene che “tutto” sia suo. In questi casi non va rimproverato, ma invitato a rendere quanto preso e va spiegato che ci sono cose di cui può disporre liberamente, altre di mamma, di papà, degli amici, di altri in generale che si possono avere solo dopo averle chieste. Dall’età della scuola primaria invece, sicuramente i ragazzi sanno che ogni cosa ha un proprietario, quindi si rendono conto che rubare è un’azione riprovevole, per cui sentono il senso di colpa. E qui può innestarsi “l’impegno” di cui parlavo sopra.