Emergenza educativa

 

L’emergenza educativa è un problema tanto reale che se n’è occupato anche il Papa nella sua visita a Brescia. E ne aveva già parlato molte volte anche prima: al Convegno Diocesano di Roma nel 2007, nella Lettera alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione nel 2008, ecc.; ma questa volta non possiamo certo non porre la nostra attenzione sulle parole che ci ha detto, qui… a casa nostra, parole che ci interpellano profondamente come educatori e come educatori cristiani.

Benedetto XVI ha assegnato quest’anno il premio Internazionale Paolo VI alla collana francese “Sources Chrétiennes”, una scelta dedicata all’ambito educativo, per cui proprio in occasione dell’assegnazione di tale premio e dell’inaugurazione dell’Istituto Paolo VI a Concesio ha dichiarato di voler sottolineare la “capacità educativa” del suo predecessore. Il Pontefice ha ripetuto che viviamo in tempi in cui si avverte una vera “emergenza educativa”, e che Paolo VI in questo campo è di grande attualità.

Formare le nuove generazioni, dice Benedetto XVI non è mai stato facile; ma oggi sembra ancora più difficile, lo sanno bene i genitori e gli educatori preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei loro figli, gli insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole, e gli stessi giovani che non vogliono essere lasciati soli.

Di chi la colpa di questa situazione? Soprattutto di un’atmosfera, una mentalità ed una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte, continua il Papa, una diffusa sete di certezze e di valori …

E gli educatori possono e debbono rispondere trasmettendo alle future generazioni qualcosa di valido, regole solide di comportamento, alti obiettivi verso i quali orientare con decisione la propria vita. Con la crisi aumenta, infatti, la domanda di un’educazione capace di farsi carico delle attese dei giovani, un’educazione che sia soprattutto testimonianza e, per l’educatore cristiano, testimonianza di fede.

Il Papa ha ricordato le parole di Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”. Proprio per questo, fin dal principio della sua attività, nel circolo romano della FUCI, unitamente ad un serio impegno spirituale e intellettuale, egli promosse per gli universitari iniziative di servizio dei poveri, con la Conferenza di San Vincenzo. Non separava mai quella che in seguito definirà “carità intellettuale” dalla presenza sociale, dal farsi carico del bisogno degli ultimi, dalle missioni concrete tra i baraccati. Crediamo – scriveva – che il cattolico non è colui che è tormentato da centomila problemi… No! Il cattolico è colui che ha la fecondità della sicurezza.

Per Papa Montini – continua il suo successore – il giovane va educato a giudicare l’ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola, va aiutato ad avere un “pensiero forte”, capace di un “agire forte”, evitando il pericolo, che talvolta si corre, di anteporre l’azione al pensiero e di fare dell’esperienza la sorgente della verità. Ebbe ad affermare in proposito: «L’azione non può essere luce a se stessa: se non si vuole curvare l’uomo a pensare come egli agisce, bisogna educarlo ad agire come egli pensa…».

L’educazione è dunque una costante del pensiero e dell’azione di Paolo VI, lo attestano i numerosi suoi interventi dedicati alle nuove generazioni, in momenti burrascosi e travagliati, come il Sessantotto. Con coraggio indicò allora la strada dell’incontro con Cristo come esperienza educativa liberante e unica vera risposta ai desideri e alle aspirazioni dei giovani, divenuti vittime dell’ideologia. “Voi, giovani d’oggi – egli ripeteva – siete talora ammaliati da un conformismo, che può diventare abituale, un conformismo che piega inconsciamente la vostra libertà al dominio automatico di correnti esterne di pensiero, di opinione, di sentimento, di azione, di moda: e poi, così presi da un gregarismo che vi dà l’impressione d’essere forti, diventate qualche volta ribelli in gruppo, in massa, senza spesso sapere perché”. “Ma poi – notava ancora – se voi acquistate coscienza di Cristo, e a Lui aderite… avviene che diventate interiormente liberi… saprete perché e per chi vivere… E nello stesso tempo, cosa meravigliosa, sentirete nascere in voi la scienza dell’amicizia, della socialità, dell’amore. Non sarete degli isolati”.

In conclusione si può rispondere, alla luce dell’insegnamento della Chiesa, alla domanda: É possibile oggi educare con l’affermazione che: “É possibile”, (e qui mi rifaccio alla Lettera alla Diocesi di Roma) anche se la nostra speranza è insidiata da più parti (la tentazione di rinunciare è forte); anche se alla radice della crisi educativa c’è una crisi di identità di fiducia nella vita. Ma noi poniamo in Dio la nostra speranza una speranza che ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educare e ad educarci reciprocamente nella verità e nell’amore.