«Io e la mia bambina, più che mamma e figlia, siamo “amiche”». Lo sento dire spesso e sono molti genitori che si vantano di essere “amici” dei propri figli, di trattarli alla pari, di essere assolutamente antiautoritari.
La ricerca di un rapporto di amicizia con i figli parte dal desiderio di maggiore “prossimità affettiva”: si vogliono abbattere le frontiere, abolire le gerarchie; convinti che in tal modo si possa più facilmente comunicare, non si abbiano segreti, ci si confidi tutto, ci si capisca meglio, si vivano esperienze comuni, si condividano stati d’animo, gioie e preoccupazioni. Ma dubito che queste dichiarate amicizie siano educativamente positive, le ragioni sono tante e ne espongo alcune.
1) Perché il rapporto educativo, lo abbiamo detto più volte, non è paritario: ci sono due persone che interagiscono (in questo caso figlia e madre), ma non sono sullo stesso piano, hanno ruoli, età, bisogni, esperienze, compiti diversi; perché diverso è l’amore che li lega; perché non hanno le stesse responsabilità; perché lei è figlia e noi papà e mamma.
2) Non si dimentichi poi che in ognuno di noi resiste il bambino che eravamo e poterci ritornare anche solo per un poco, essere bambino con il nostro bambino, tornare piccoli, abbandonare il “dovere” di essere adulti… può essere gratificante per noi, ma certamente non per chi educhiamo; perché il genitore bambino non è più né padre, né amico e depriva così il figlio del “necessario riconoscimento” come persona libera assolutamente unica ed irrepetibile.
3) Ancora il proporsi alla pari con i figli, può nascondere la paura di invecchiare, certe mamme non vogliono diventare adulte, si vestono come le figlie quindicenni, si comportano come loro, usano il medesimo linguaggio, ecc. Sono trendy (per dirla in inglese) o à la page (per dirla in francese), ma non sono buone mamme.
4) Ed aggiungerei, infine, anche il fatto che, quasi sempre, dietro una parvenza di amicizia disinteressata, la mamma pensa che, se si fa amica della figlia, questa le confiderà tutto e con ciò potrà meglio proteggerla, consigliarla, aiutarla e anche (mi si consenta di dirlo) controllarla. In fondo in fondo temo che quest’ultima sia la ragione, principale e mai palesata, che ci spinge a proporci come amici dei nostri figli … e non è una nobile ragione. Ogni mamma teme (e con buone ragioni) che i figli le nascondano qualcosa perciò è seriamente preoccupata circa i “pericoli” che corrono se non dicono tutto e allora? Allora cerca delle soluzioni; una può esser questa: «Se ci diciamo tutto, come due “amiche per la pelle”… io so tutto di lei e lei sa tutto di me, per cui posso intervenire prima che accada qualcosa di irreparabile». Sappiamo che non è questa la strada che dà buoni risultati e ripetendoci diciamo che l’ascolto è la via migliore; il tempo per i figli non affatto interrogandoli, ma lasciandoli parlare; i pranzi e le cene sempre tutti insieme e con la tivù spenta, parlando poco noi per lasciare loro lo spazio per esprimersi, raccontare, confidarsi.
Di questo hanno bisogno, come hanno bisogno degli amici che – però – sono altri rispetto ai genitori.