Per finire, assolutamente niente pedagogia negativa, solo riflessioni positive…
Parliamo, infatti, della famiglia di Giuseppe, Maria e del loro bambino, di una casa dove ha abitato nientemeno che il figlio di Dio. Mi sono chiesto più volte come sarà stata l’educazione in quella casa. Certo i vangeli sono molto avari di notizie; ma ne abbiamo una riportata da Luca 2,39-52 che ci fa conoscere una realtà consolante: anche la famiglia di Nazareth ha avuto le sue difficoltà; ai genitori terreni di Gesù non è stata risparmiata la “fatica” di educare. E – quasi a confermarcelo – viene riportato il caso più eclatante: papà e mamma perdono il loro bambino.
L’hanno addirittura perso… tu non hai mai “perso” i tuoi figli?
Sì, almeno una volta… tutti e tre.
Gesù dunque un giorno scompare e che fanno Giuseppe e Maria?
Insieme lo cercano (per ben tre giorni) finché lo ritrovano. Ecco il segreto: “insieme” erano partiti, erano “separati” quando l’hanno perso (significativo, no?), ma “insieme” lo cercano e “insieme” ritornano finalmente a casa dove il bambino crescerà in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
E starà loro sottomesso, proprio perché se la meritavano, Giuseppe e Maria, l’obbedienza di Gesù; ma non dobbiamo pensare che non abbiano dovuto dargli degli ordini, porgli dei limiti e fissare delle regole.
Come reagiscono quando lo trovano?
Semplicemente rimangono meravigliati di trovarlo nel tempio (in chiesa, diremmo noi oggi); di trovarlo seduto in mezzo ai sacerdoti ad ascoltarli e interrogarli. È da notare la bellezza dei due verbi “ascoltare e interrogare”, abitudini certo acquisite in casa! Quante considerazioni pedagogiche si possono fare sull’ascolto in famiglia, sulla possibilità di porre domande e di avere risposte adeguate.
Ma dopo lo stupore lo rimproverano? Chiedono spiegazioni? Lo castigano?
… E sua madre gli disse: figlio perché ci hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo. Parla la mamma; parla chi è più calmo, chi meglio sa come prendere questo figlio che l’ha combinata grossa; parla chiaro e apre un dialogo nel quale la realtà del dolore non è nascosta, un dialogo senza risentimenti, senza accuse; ella sa ascoltare, sa perfino accettare – senza aggredire – una risposta incomprensibile, ma che contiene un messaggio: sappiate che i figli non sono vostri, appartengono a Dio che ha su di loro un progetto meraviglioso, appartengono alla loro missione, alla loro vocazione, ai loro sogni, ai loro amori, persino ai loro limiti. Padri e madri lo si diventa progressivamente, nel corso di tutta la vita, anche quando il figlio proprio non lo capisci e non segue le indicazioni date. Padri e madri lo si diventa soprattutto quando si è chiamati a momenti di angoscia e oscurità e a meditare parole che “dicono altro” come questa mamma che “custodirà tutte queste cose in cuor suo”.
Quindi tornò a casa con loro!
Gesù lascia il tempio e i dottori e va con Maria e Giuseppe; lascia coloro che “studiano” la vita, le scritture, la fede, la religione, Dio… e va con coloro che “vivono” la vita, la fede, l’amicizia con il Padre. Così sceglie il modo di crescere proprio degli uomini, di crescere attraverso la vita di famiglia regolata dalle norme di famiglia. Questo è di consolazione se pensiamo che – pur con i limiti delle nostre famiglie – esse sono capaci di far “crescere in sapienza e grazia” ciascuno che le abiti con verità e amore.
Pur con tutti i limiti – si diceva – in famiglia si può crescere in sapienza e grazia proprio perché non si è perfetti; perché ognuno di noi è ben più grande dei suoi problemi, perché nessuno si identifica con i suoi difetti, perché siamo solidali e ci aiutiamo in famiglia, perché siamo noi stessi famiglia con Dio.
Dunque, Gesù a Nazareth impara a vivere in casa?
Indubbiamente, nella sua casa, ciò che Gesù impara dalle cose, dal lavoro, dalle relazioni è il sapere della vita. Nella sua casa riceve ed elabora il senso della vita, l’arte di vivere che è anche l’arte di pensare, l’arte della profondità.
Ma quando un figlio “si è perso” nel senso che dichiara di non aver più la fede… di non voler più andare a Messa, ecc., come lo si può ritrovare?
Già abbiamo dato una risposta breve in tal senso, affermando che ciò non significa che abbia perso Dio, né tantomeno che Dio abbia perso lui! Quante volte abbiamo visto riemergere la fede dopo anni di silenzio, come fiume carsico che scompare improvvisamente e poi altrettanto improvvisamente riaffiora lontano, più a valle con acqua più abbondante di prima, più fresca, più limpida, più buona; perché depurata nelle grotte profonde della vita, nei sotterranei dell’esistenza.
“Insieme”, però, lo dobbiamo cercare questo nostro figlio, per tre giorni, trenta o trecento o tremila. Cercare con il nostro modello di vita, con la serenità che emana dal nostro essere certi che “lassù Qualcuno (con la Q maiuscola) ci ama”.
E non dimentichiamo, come conclusione che quel lavorare “insieme” vale anche per la collaborazione con la scuola, la parrocchia e gli altri Enti che affiancheranno la nostra azione educativa.