Botta e risposta (1)

 

Risposte brevi a domande altrettanto brevi, brevi…

Una specie di botta e risposta, dunque, con la quale – posta una questione – il pedagogista risponde. Certamente è una modalità tra le più produttive di interazione, ma è anche una soluzione rischiosa soprattutto se chi fa la richiesta si aspetta una bella serie di ricette preconfezionate con le quali possa risolvere il suo piccolo o grande problema.

 

Occorrono delle precauzioni nel dare e nell’usare risposte immediate?

Indubbiamente. Per cui in premessa è doveroso precisare che nelle scienze umane nulla è definitivo e un caso non è mai uguale a un altro. Ed è altrettanto doveroso dire che in pedagogia a una domanda non segue una tecnica ovunque applicabile e di sicuro successo, bensì un’indagine del problema, per tentare di conoscerlo e di farsi delle idee positive che serviranno poi da indirizzo per comportamenti educativi concreti.

 

Ok. Passiamo alle domande. La mia è una famiglia monogenitoriale in quanto sono sola dopo la morte di mio marito, come posso vivere con i figli la mancanza del padre?

Certamente la morte del padre o della madre è un evento dolorosissimo, cui ognuno reagisce in modo diverso ed è veramente difficile da superare. Posso solo constatare che è un dato di fatto e che il primo passo da compiere potrebbe proprio essere quello di non lottare contro ciò che è, e non si può cambiare. Per cui non è bene far percepire ai figli la rivolta e il rifiuto della morte della persona cara, è pedagogicamente positivo invece esprimere il dolore, ma contemporaneamente l’accettazione di quanto è avvenuto con la consapevolezza che il papà ora è in paradiso e che di là “ci è ancora più vicino”. Se la nostra fede è fondata sulla roccia, tutto sarà chiaro e il bambino non si sentirà affatto orfano.

 

Cerco di aiutare mio figlio in tutto, ma è positivo questo?

Positivo direi proprio di no. Non è, infatti, agendo al suo posto che il nostro bambino diventerà adulto. Talune mamme non lo mandano nemmeno alla scuola dell’infanzia per evitargli di incontrare gli altri e così generano grosse difficoltà di socializzazione. Se vogliamo riflettere, ci accorgiamo che inconsapevolmente tendiamo a fargli avere tutto quello che a noi è mancato e a proteggerlo da qualsivoglia problema. Per cui non deve prendere freddo, guai a sudare o sporcarsi, non può aiutare in casa, deve però essere sempre troppo coperto e magari praticare cento attività sportive. Indubbiamente sarebbe opportuno lasciarlo più libero, farlo uscire a giocare con i suoi compagni, aprire le porte di casa per far entrare gli amici. Assolutamente importante è mandarlo a scuola subito e sempre e usufruire delle strutture esistenti come l’oratorio, ma anche del cortile di casa o del parco giochi, con opportuna discreta sorveglianza.

 

I miei due figli litigano sempre, io cerco di far loro capire che “devono” volersi bene, ma mi sembra di parlare al vento.

Ovviamente nessuno ha problemi con chi non incontra mai e nemmeno con chi non condivide nulla. Si litiga con le persone più vicine, non dimenticando che gli affronti, le parolacce, i dispetti che provengono da un fratello ci colpiscono profondamente proprio perché ci si vuole bene. Direi, dunque, che la cosa è del tutto normale e che va fino a un certo limite tollerata. È importante questo margine di tolleranza per evitare di cascare nel gioco di interventi frequentissimi e per cose da poco, ignorare dunque se i litigi sono futili. Superato il limite è indispensabile far ragionare i due affinché assumano i loro impegni cui seguirà, se non sono mantenuti, il giusto castigo (si veda anche il cap. IV: Gelosia tra fratelli). Ma si devono pensare anche interventi positivi come una vita meno chiusa, visite agli amici, passeggiate in famiglia, attività interessanti fuori casa.

 

Ho un figlio solo, ma non per scelta. Non corre il rischio di crescere mammone e incapace di confrontarsi con gli altri.

Premesso che in una famiglia numerosa è più facile educare, direi proprio che suo figlio non corre alcun rischio, se lo lascia uscire, se invita molti amici a giocare con lui, se il bimbo frequenta la scuola dell’infanzia, se va all’oratorio, alla catechesi, se vive a contatto coi suoi coetanei.

 

Cerco di educare mio figlio all’accoglienza, alla socievolezza, al perdono, ma davanti alle cose che succedono mi chiedo se non dovrei orientarlo alla prudenza e alla diffidenza.

Indubbiamente i pericoli ci sono, provengono dagli adulti e dai coetanei. Sono temi che meritano una trattazione molto più ampia. Brevemente mi par di poter dire che è bene educare alla prudenza e alla difesa di se medesimi, senza per questo esagerare limitando l’incipiente autonomia. Ritengo indispensabile, per esser davvero di aiuto ai figli, che noi adulti lasciamo sempre aperto, ogni giorno, il canale di ascolto. È assolutamente necessario che, se andiamo a prenderli a scuola, non torniamo di fretta a casa tempestandoli di domande, ma si cammini con calma senza che il genitore parli, consentendo così al figlio di raccontare le cose importanti della scuola. È indispensabile che durante i pasti la tivù sia spenta e che ci sia un clima di ascolto di tutti verso tutti. Solo così i problemi, le gioie, i successi, le paure, i timori, le domande non mancheranno di emergere, come non mancheranno le nostre pacate, positive considerazioni tendenti a elevare il livello di autostima del bambino. Non dovrà però neppure mancare la nostra azione preventiva insieme agli altri enti educativi, proprio perché il modo migliore di occuparsi della violenza sui bimbi è quello di prevenirla, cioè di fermarla prima che sia attuata.

 

Sono mamma di due bambini, uno adottato di 4 anni ed uno naturale di 10 mesi. Mi pongo il problema del come informare il maggiore e poi l’altro figlio.

Penso che dal momento in cui un bambino diventa suo figlio, ed è da allora indubbiamente amato come tale, non debba più essere descritto con aggettivi come naturale, adottivo o legittimo. Ogni figlio si ama, ciascuno con il proprio nome. Ma non voglio eludere la sua domanda. Bisogna dirglielo, anche per evitare che lo venga a saperlo da altri, ma va fatto con naturalezza come cosa semplice e tranquilla. Le potrei consigliare il book fotografico di famiglia dove ci sarà la sua foto da ragazza e quella del suo futuro fidanzato, poi altre immagini fino al vostro matrimonio, poi quelle del primo bambino e quelle del più piccolo e di tutta la vostra bella famiglia. Sfogliatelo ogni tanto insieme, illustrate le fotografie ai vostri figli, lasciate parlare il cuore e non sarà difficile nemmeno comunicare ciò che ora la preoccupa tanto.

 

Mio figlio l’ha proprio combinata grossa e l’ho castigato impedendogli di andare a giocare la finale del torneo di calcio (fa il portiere). Da allora non mi parla più. Ho sbagliato?

Le risponderò con una frase che si ricorda facilmente: Castighi privati e pubbliche lodi. Il che ci spinge “positivamente” a non implicare compagni di squadra, di classe, di gioco, i fratelli, ecc. nel castigo, perché dobbiamo il massimo rispetto alla “persona” del bambino ha diritto alla riservatezza quando viene corretto. Cerchi poi la collaborazione dell’alleducatore il quale dovrebbe chiaramente dire ai suoi allievi che non basta essere bravi calciatori occorre anche essere bravi nella vita, perché chi fuori dal campo si comporta male… sta in panchina.