Chi ha figli adolescenti é oggi molto preoccupato, ma è sempre stato così?
È sempre stato così! Ogni tempo ha portato con sé, per le generazioni che si affacciano alla vita, nuovi comportamenti cosiddetti “a rischio”, per cui da sempre mamme e papà di tutto il mondo, pur con modalità diverse, si preoccupano dei loro figli adolescenti. Non si tratta di un infelice ricorso al “mal comune mezzo gaudio”, ma piuttosto di un opportuno richiamo a un dato di fatto che segna la relazione tra i figli e i genitori. Rispetto al passato, poi, si è ampliata la gamma dei possibili rischi e si è notevolmente abbassata l’età di impatto con essi, quindi è cresciuta la carenza di esperienze e di mezzi per difendersi. La novità dei nostri tempi, poi, è internet anche via cellulare, e navigando in quel mare immenso si incontra di tutto: il buono e il massimo del cattivo, la pornografia, la pedofilia, la violenza, le truffe; ma l’alcool, la droga e la spericolatezza alla guida pur non essendo una novità sono altrettanto o forse più pericolose.
Ma perché i figli a una certa età fanno più fatica a confidarsi?
Perché ci sono esperienze che comunichiamo a tutti, altre a pochi e altre infine a nessuno e non sempre perché ce ne vergogniamo, ma anche perché vogliamo tenerle solo per noi o non avrebbero il consenso o, rese pubbliche, provocherebbero conseguenze spiacevoli. Con l’adolescenza la parte non accessibile aumenta, il segreto che avvolge i comportamenti si fa più fitto e ciò innesca nei genitori timori, spesso eccessivi, li fa sentire impotenti e ingigantisce le loro preoccupazioni.
I ragazzi di oggi sono più o meno restii di quelli di ieri a comunicare le esperienze rischiose che incontrano fuori casa?
Né più né meno che un tempo, con la differenza positiva che oggi i genitori dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) essere più disponibili all’ascolto.
Un primo punto di partenza per affrontare il problema?
So che susciterò delle reazioni, ma sono fedele al principio che la prima considerazione va rivolta agli adulti. Chiedo, dunque, a questi di ricordare come si comportavano loro quando avevano meno di venti anni. Hanno parlato a papà o mamma della loro prima sigaretta, del primo incontro con la pornografia o con gli alcolici, delle loro prime esperienze sessuali, di qualche imbroglio o furtarello, di bullismi (anche se allora non si chiamavano così) o atti vandalici, e, quando fosse capitato, del contatto con le droghe? Hanno mai mentito per timore delle reazioni di fronte a comportamenti che padre e madre avrebbero considerato inaccettabili, perché pericolosi?
Fermo, fermo… Ma noi ce l’abbiamo fatta e non siamo venuti male!
Certo e ce la faranno anche loro! È proprio da qui che dobbiamo partire con le nostre considerazioni positive di pedagogia familiare per aiutarli davvero, fissando quattro dati di fatto di cui dobbiamo prendere atto per mantenerli ben presenti alla mente, eccoli: 1) il conflitto generazionale è normale, non è di per sé negativo, segna il passaggio alla maturità; ma implica la messa in discussione di tutte le precedenti convinzioni che erano state acquisite dalla famiglia, dalla scuola, dalla Chiesa, dalla società per formarne di nuove, frutto libero delle decisioni del singolo; 2) esiste un’intimità in tutti che va rispettata, per cui non si può pretendere che l’adolescente ce ne dia le chiavi, magari affermando che tra noi non ci sono segreti o vantando di avere un rapporto di amicizia con i figli; 3) buona parte delle preoccupazioni, di fronte ai loro silenzi, si basa sul ricordo di come eravamo noi da ragazzi, dei rischi che abbiamo corso, ecc.
Ma no, ma no… si basa sul fatto che allora i pericoli erano minori, che noi eravamo molto più controllati dagli adulti, che non c’erano le discoteche e i luoghi di sballo!
Tutto vero, ma quei comportamenti a rischio che abbiamo descritto sopra e che allora abbiamo taciuto ai nostri genitori hanno una loro importante parte oggi proprio nell’impedirci di affrontare razionalmente i comportamenti dei nostri adolescenti.
Sarà, ma ho dei dubbi. Il quarto dato di fatto che dobbiamo tener presente?
Il quarto è semplice: ne siamo usciti noi e bene, quindi anche loro supereranno l’adolescenza.
Accertati e acquisiti questi “dati di fatto” da dove partire?
Non abdichiamo al nostro ruolo di educatori che consiste nel trasmettere esperienze positive e continuiamo a dare ai figli l’esempio della nostra vita, la sicurezza della nostra presenza, la guida del nostro consiglio, anche quando fanno il contrario di quanto diciamo e vogliono sempre fare di testa loro.
Evitiamo gli interrogatori che costringerebbero alla menzogna; ma pretendiamo dal figlio la sincerità quando ci dice qualcosa e chiediamo la dignità di “dire le cose come stanno” anche se la verità ci farà arrabbiare, anche se sa che ci darà un dispiacere, lo disapproveremo o lo rimprovereremo; ma la maturità sta proprio nella capacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni o decisioni.
Ricordiamo, infine, che i ragazzi sono, di base, molto migliori di quanto li immaginiamo:
– sono fondamentalmente onesti e giusti, perché non hanno ancora imparato a truffare il prossimo;
– hanno buon cuore, perché ancora non hanno assistito a innumerevoli inganni;
– sanno sperare, perché non hanno ancora provato le tante traversie che la vita ci riserva;
– vedono il passato come breve e il futuro come pieno di promesse;
– preferiscono il bello all’utile, perché obbediscono all’ideale più che al calcolo;
– sono inclini all’empatia perché “sentono” gli altri come se stessi;
– vedono più il bene che il male perché misurano con il proprio metro;
– sono spontaneamente allegri perché amano la vita.
Questi sono dati positivi, da qui dobbiamo e possiamo partire.
Ma per facilitare il dialogo?
La pedagogia preventiva, proprio perché tale ci chiede di instaurare abitudini corrette per facilitare la comunicazione. Abitudini corrette vuol dire tacere noi per lasciar parlare loro; accettare senza giudizi quanto ci dicono e volgerlo subito in positivo; se non si esprimono è bene non interrogarli, ma attendere (spegnendo la tv durante i pasti, facendo shopping insieme, andando col figlio alla partita, o in montagna o al lago ecc., ecc.), con calma che parlino. Chiediamoci davvero quanto spazio, nella nostra famiglia, è lasciato per “comunicare”… se è meno di un’ora al giorno dobbiamo (e lo so di ripetermi) decisamente smettere di preoccuparci e iniziare a occuparci dei nostri figli adolescenti favorendo tutte le occasioni per stare insieme, il resto verrà da sé.
Ma tutti dicono che l’adolescenza è un periodo di crisi, non è così?
Nella lingua cinese la parola “crisi” è la combinazione di due ideogrammi che indicano l’uno pericolo l’altro opportunità: i cambiamenti tipici dell’adolescenza comportano tensioni, a volte rotture, certo adattamenti, ma sono ricchi di potenziale positivo per tutta la famiglia.
Ma perché gli adolescenti sono così “scontrosi” con i genitori, non li amano più?
Indubbiamente ci amano ancora; certo non siamo più il loro idolo; è giunto – infatti – il momento del passaggio dall’idealizzazione dell’adulto, alla realtà della sua finitezza; in altre e brutali parole hanno scoperto che siamo imperfetti, deboli, incostanti, insicuri e questo è un bene; guai a noi se continuassimo a proporci come perfetti perché avere genitori che “non sbagliano mai” è pesante, faticoso, insopportabile ormai. È il momento per noi di essere senza paura, di metterci in discussione, di ammettere i nostri errori, debolezze o mancanze; di cercare il nuovo modo di entrare in relazione con i figli sapendo che loro, a questa età, accettano i propri limiti e cercano di superarli se vedono che i genitori fanno altrettanto.
Ma anche se ammettiamo i nostri limiti l’adolescente comunque contesta, trasgredisce…
Perché vuole esser diverso. Ha necessità di mettersi alla prova senza di noi per capire che cosa è in grado di fare, anche attraverso la ribellione, perché ritiene che bisogna cambiare per rinnovare e sperimentare nuove strade. Certo noi non siamo d’accordo; certo noi diciamo che le regole vanno rispettate e se non vanno bene possono essere ridiscusse e cambiate; ma quanto siamo disponibili a cambiarle? Quanto siamo disponibili ad accettare piccole e tollerabili devianze? Ricordo Anna sedicenne figlia di amici, un giorno si presentò con le unghie colorate di un marrone orribile ed io le dissi: Che hai fatto Anna? Hai le unghie come la strega di Biancaneve! Candidamente rispose: È l’unica trasgressione che posso permettermi in casa mia! E poi l’adolescente vuole confrontare le regole di famiglia con un nuovo universo che è il mondo esterno, quello degli amici, dei coetanei, del clan. L’influenza del gruppo è innegabile ed è maggiore laddove la “presenza” dei genitori è carente o conflittuale o incoerente.
Ma il confronto, il conflitto servono a qualcosa, danno risultati?
Sono utilissimi ai giovani per stimolare la capacità di argomentare, discutere, far valere le proprie ragioni; servono a evidenziare i problemi e cercare soluzioni; ad affinare le abilità sociali. Ma servono anche a noi per dimostrare che l’affetto non vien meno anche sotto stress, e che rispettiamo le idee diverse dalle nostre addirittura quelle che proprio non condividiamo; in ogni caso lo diciamo con franchezza: Ok, non siamo d’accordo, dimmi come la pensi.
In sintesi che cosa non dobbiamo fare?
Come sempre poche riflessioni di pedagogia negativa. Non devono:
– perdere le staffe e opporsi con autorità e rigido controllo;
– cascare nel tranello delle provocazioni (si veda il capitolo LVII intitolato “Urlo sempre” è significativo);
– evitare il confronto, lasciar correre, cedere;
– generalizzare nascondendosi sotto l’alibi che fanno così tutti;
– passare l’idea che possa accadere…
Che cosa possiamo invece fare?
I genitori che hanno riflettuto sull’argomento possono avere idee positive circa la loro azione pedagogica, le elenco in estrema sintesi:
– sono convinti che: “L’uomo contemporaneo (il figlio adolescente nel nostro caso) ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni” (Paolo VI, Evangeli Nuntiandi, 41) e perciò sono convinti che è necessario essere modello di scelte chiare e mature;
– sanno essere presenti: senza essere col “fiato sul collo dei figli”; hanno stabilito da sempre la regola di famiglia per cui dove vado, con chi e a che ora torno è la comunicazione normale prima di uscire;
– tacciono per ascoltare… e se loro tacciono i figli parleranno semplicemente perché finalmente possono parlare (che non è poco); ma soprattutto sanno di essere ascoltati;
– ipotizzano sempre un futuro promessa che permetterà la realizzazione dei sogni più belli;
– stimolano la capacità critica e l’anticonformismo;
– coinvolgono in attività desiderate, piacevoli, culturali e/o sociali;
– creano occasioni condivise per stare insieme, in famiglia, con gli amici, con i gruppi;
– stanno in contatto con gli altri adulti educatori, insegnanti, catechisti, animatori, allenatori;
– si tengono “aggiornati” e riflettono: non c’è scuola, oratorio, parrocchia, circolo culturale associazione, ecc. che non organizzi un incontro di formazione/informazione per i genitori; la richiesta di imparare a essere buoni educatori è pressante, rispondiamo mettendo le nostre idee a confronto con gli esperti e con gli altri genitori;
– si tengono “aggiornati” con buone letture.